Respirare, ad ogni modo, è sempre stato sopravvalutato

“I’ve been losing battles like a soldier,
You know I’ve been trying so hard
Everyday the end is getting closer
One day I will fall apart

Can you feel my heart is getting colder
Colder than it’s ever been
Oh I used to think that I was clever
But truth I didn’t know a thing”

– Colder, R.O x Konoba –

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Mi dico: “Fregatene.”
Ma non è quello che voglio.
Perché se inizio a fregarmene per davvero qui finisce male.
O forse finisce e basta e non so se sia una cosa che possa andarmi bene. Che possa farmi bene.
Il tempo passa e io sono qui. E non capisco più se sono qui perché ci voglio stare o se sia perché sono troppo rotta per riuscire a fare altro.
E lo so per certo che sto qua da sei anni almeno, perché ho ritrovato la bozza di un post del 2012 in cui sproloquiavo sul ravanare in taverna, cercando qualcosa da rivendere. E guarda un po’ che caso è esattamente quello che sto facendo adesso. Wow.

Settimana prossima dovrei andare con i miei a La Spezia. Dovrebbe essere una bella gita, visitando posti nuovi che chissà quando vedrò, cambiando aria.
Ma non so se voglio andarci.
Sono stanca di fare queste esperienze con amici che non sono i miei, persone con cui l’unica cosa che ho in comune è che potrei esserne la figlia. Sono stanca di sentirmi fuori luogo, fuori tempo, una variabile che sì ok è qui però mh, non ci fosse magari sarebbe stato più appropriato.
Sono stanca di lasciarmi sola.
Sono stanca di sentirmi dire “Perché sei qui? Cosa fai, nella vita? Dove stai andando? Eh, ma alla tua età io…”.

C’è chi non ce la fa, diceva Pennac.
Inizio a pensare di essere tra questi.

E mi dispiace e vorrei non stare di nuovo così male da farli, questi pensieri, perché l’acqua magari non me la sento alla gola, ma per il semplice motivo che l’insensibilità sta rimettendo radici.
Vorrei riuscire a farcela e basta, anche se non so neanche io in cosa, di preciso.
Riuscire ad uscire di casa senza l’angoscia di…
L’altra sera stavo per piangere in macchina, con mio padre, solo perché mi ha chiesto: “C’è qualcosa che non va? Che non ci stai dicendo?”
Ma lo ha fatto (allarmato dal mio possibile paccar la gita) con un tono talmente rassegnato e disponibile che se non ho ceduto è stato solo perché sono una testarda del cazzo e a volte fa tutto così male che non riesco neanche a dire “Ahi”.
Evidentemente si vede, però, a discapito dei miei migliori tentativi.
Non sono buona neanche a far la stoica, che era l’unica cosa di cui avrei avuto bisogno. Non so giocare. Mi si legge tutto in faccia, da brava cogliona. Che sia nel poker o nella vita in generale.

Mi chiedo spesso cosa ci sia di sbagliato nella mia testa, nel mio corpo. Nella mia faccia (che a volte mi fa schifo tanto da far ridere).
Se sono pigra.
L’ultima volta che ho provato a rispondermi seriamente, non ho potuto fare a meno di paragonare la depressione all’asma: non è che non ci provi a respirare, eh, te rantoli, ti costringi a immettere aria che, però, non passa, non è mai abbastanza. E stai lì e soffri come un cane e poi ti prende il panico perché non puoi fare a meno di pensare che “Morirò così, soffocato da me stesso”.
E forse è davvero solo un continuare a morire, soffocati da sé stessi.

Alla fine, comunque, penso andrò coi miei. Perché ormai sono rari i giorni in cui non mi chiedo se la botta che ho sentito nell’altra stanza sia uno dei due che è caduto; se domattina mi sveglierò ed uno di loro (o entrambi, chi lo sa) non lo farà più. Sono gentili, a modo loro, coi loro difetti e le loro difficoltà. Ma mi fa incazzare di pensare che devo accompagnarli per non sentirmi in colpa nel caso morissero domani.
E mi fa incazzare non poterli guardare in faccia e raccontargli di quello che sono.
Non so se ci sia mai stato un posto in cui mi sia sentita davvero “a casa”.
Neanche davanti al mare dove, mi sento sola come non mai. Perché siamo sempre soli, davanti alla vastità del cazzo che gliene frega all’acqua, lei va e va a prescindere da cosa si trova davanti, s’infiltra, scava e ritorna alla terra, ostinata ed implacabile come continuare a vivere.
Forse, “a casa”, mi ci sono sentita solo a Venezia, da sola, di notte, guardando le luci riflesse nel Canale.
O forse neanche lì, visto quanto stavo di merda in quel periodo.

Ma prima o poi le cose finiscono, no? In un modo o nell’altro.
Persino le dittature.

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