Degli ignavi e delle briciole

Certe boccate d’aria, anziché aiutare, rendono solo più difficile respirare il resto del tempo.
Maggiore è l’ossigeno che entra, più angosciante diventa rantolare quando non ce n’è.
E allora, che fai? Mica puoi smettere di farlo.
Rantoli dunque, e picchi i pugni, e aspetti.

E poi ti chiedi se, aspettando, tu non stia perdendo tempo. Se ci sarebbe qualcos’altro, che potresti fare, per cambiare la situazione.
Ti chiedi se, forse, tu non stia facendo abbastanza.

E pensi.
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Quindi vuol dire che non faccio abbastanza?
E non ho mai fatto abbastanza.
Non ho fatto abbastanza per farmi amare, per prendere voti più alti o smettere di stare male.
Non faccio abbastanza per guarire, o per rendermi utile, o per amare.
Non ho mai fatto abbastanza per essere un buon figlio o una buona sorella, una buona cugina, una buona amica.
Non faccio abbastanza come amante, fidanzata o persona.
Quello che faccio, invece, è annegare in un mare d’indecisione.
Ma è sbagliato anche questo, perché non son buona manco ad annegare, o a nuotare.
Galleggio dimenandomi, facendo più fatica di quanta ne servirebbe per restare semplicemente inerte.
Rendendomi incapace persino di ascoltare la voce del mare.

Dante sicuro m’avrebbe infilata nel girone degli ignavi.
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Anche Venezia mi sta venendo a noia. Perché mi sento rifiutata.
Mi viene sempre a noia, chi sento mi stia rifiutando.
E allora lo faccio anch’io, e sai che c’è? Se non mi vuoi, non ti vorrò neanch’io.
Possiamo andarcene a fare in culo tutti quanti.
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Cerco di capire dove mettono radici questi pensieri, questi sentimenti.
L’insoddisfazione, la frustrazione e la paura. Il dolore. L’inadeguatezza.
L’unica risposta sincera che riaffiora da quel lago di melma come spesso immagino la mia psiche, è: “Da sempre”.
Quanto può essere di merda, una vita che a ripercorrerla fino ai primi ricordi dell’infanzia ti risponde che non sei mai stata bene?
Che cazzo è successo, veramente, ad otto anni?

L’inadeguatezza in me affonda radici profonde, ma non saprei neanche dire perché.
Mi sono sempre sentita fuori luogo.
Forse a causa di questo essere e non essere parte di due luoghi contemporaneamente, o perché mio padre ha una dipendenza da approvazione, o perché non sono mai stata maschio né femmina. Non c’è mai stato un momento della mia vita, neanche in quell’età da bambini in cui ci si sente forti di poter fare qualunque cosa, in cui mi sia sentita sicura.
Ho sempre avuto paura.

Solo molti anni più tardi ho trovato luoghi (o angoli, più che altro, parentesi di mani e capelli profumati in cui nascondere il naso e lasciare fuori il mondo) in cui potermi sentire in pace.
Ma sono momenti.
E finiscono, come ogni cosa.

E la frustrazione aumenta.
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Ho rimosso pilastri della mia memoria perché (presumo) mi risultavano scomodi. O perché non mi avevano insegnato ad affrontare le cose, non saprei dire. Quanto può essere importante, parlarne adesso?
La mia testa è un arazzo di buchi e scene mai finite, con fili che penzolano da tutte le parti. Tant’è, e ci si può far poco.

Quello che posso fare, oltre a cercare di farmi cagare da sconosciuti pretendendo di avere competenze che mi mancano, è pulire e cauterizzare i bordi di quei fori.

Continuo a svuotare armadi, passarmi tra le mani cose che ormai ritengo inutili e decido di gettare senza rimpianti.

Ho strappato foto, biglietti d’auguri e cartoline, in questo periodo. Lettere, pensierini e regali ricevuti sia da gente che non frequento più che da amici ancora attuali. A che pro, riempire scatole destinate a prendere polvere?
Tanto vale disfarsi di tutto.

(A questo punto, sinceramente, non so più se lo faccio per alleggerire il carico, o se sto tentando di eliminare ogni traccia della mia esistenza qui.)
(O della mia esistenza in generale.)

Alla fine succede che m’incazzo, urlo, e non vado oltre.

 

Con l’eco, oltre le urla, della stessa frase.

“Starò davvero facendo abbastanza?”

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(E lo ammetto, ora, da sola, che ci sono rimasta male quando ti ho chiesto se avresti avuto piacere a vederci di più, e mi hai risposto: “Nah.”)
(D’altronde, che si può mai fare?)
(M’impegni o meno, non sarò abbastanza mai.)